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La sapienza degli antichi e gli insetti delle derrate alimentari

05-06-2015
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Innumerevoli sono le testimonianze antiche che documentano e tramandano la sapienza degli antichi nel cercare di salvaguardare le derrate alimentari dall’incursione funesta di piccoli animaletti, i quali potevano ridurne l’espansione  e trasmettere malattie agli umani. Si narra nell'Antico Testamento o nei testi in sanscrito, scritti venti secoli prima di Cristo, di prescrizioni che obbligavano a  mettere l'acqua da bere in paioli di rame, al fine di garantirne la conservazione lontana da agenti esterni e tutelare, allo stesso tempo, regole di igiene.

Quando i Greci scoprirono che alcuni animaletti si nutrivano di quello che loro ritenevano essere esclusivamente il loro cibo, li etichettarono, con il termine di “paràsitos”, perché vivevano presso (parà) il cibo degli altri (sitos) e se ne nutrivano. Un’infamia bolla che è stata tramandata ai giorni nostri per indicare, anche, chi  trae un vantaggio (nutrimento, protezione) a spese dell’ospite, creandogli un danno biologico.

Luogo ideale per il nutrimento e l’insediamento di tali parassiti erano, ovviamente, i granai che offrivano loro cibo copioso. La contrapposta necessità di conservare a lungo sia i prodotti stagionali, sia quelli di origine animale, per avere a disposizione delle scorte da consumare, richiese, quindi, gradualmente, l’utilizzo di tecniche elementari e diversificate a seconda degli alimenti.  Per esempio lo scrittore latino Varrone (116-27 a.C.) evidenziò quanto fosse importante una buona essiccazione dei cereali e dei legumi prima dell’immagazzinamento; in tal modo, i cosiddetti “punteruoli” sarebbero fuggiti dal frumento riscaldato dal sole, venendo catturati in recipienti pieni d’acqua. Per la loro conservazione si provvedeva utilizzando grandi contenitori di terracotta o di legno, detti dolia, simili a grossi orci dalle pareti robuste e dall'imboccatura stretta, che venivano sistemati negli ambienti di servizio parzialmente interrati, così da preservare la freschezza del contenuto. Un altro studioso romano, Columella (I sec. d.C.), prescriveva di edificare magazzini per cereali, aperti ai venti di Est e Nord, elevati dal terreno per ostacolare l’arrampicamento da parte dei topi, da installare in ambienti asciutti o in alternativa, era possibile, immagazzinare le cariossidi in adeguate buche sotterranee, creando situazioni di ermeticità, tali da uccidere, grazie all’anidride carbonica naturalmente prodotta dai semi, eventuali infestanti presenti. Fin da quei tempi, inoltre, la pratica dell’essiccazione, spesso abbinata all’affumicatura e salatura, venne utilizzata per conservare carne e pesce.

Anche la morchia, residuo acquoso della spremitura delle olive, era indicata da Catone (234-149 a.C.), come intruglio in grado di ostacolare gli attacchi parassitari, tanto più se l’efficacia repellente veniva esaltata “attivando” la morchia stessa con foglie sminuzzate di assenzio. Un lungo e curioso elenco di saggezze popolari miste ai primi studi, che ci sorprendendo per l’incredibile tecnica, conoscenza, dedizione e attenzione che i nostri posteri possedevano e che, ahimè, si sono perse nel tempo o che si sono mescolate a tecniche spesso invasive e meccanicizzate. Una somma sapienza che ha apportato contributi rilevanti per la nascita e lo sviluppo dello studio degli insetti e del loro incrociarsi con le nostre vite.

 

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